La Pala di Giorgione

Il dipinto dell'enigmatico Giorgione presente all'interno del Duomo di Castelfranco Veneto.


Il capolavoro del Giorgione

All’interno del Duomo, a destra del presbiterio, l’enigmatica ed affascinante figura di Giorgione (Castelfranco Veneto, 1477 o 1478-Venezia, 1510) si materializza in una straordinaria invenzione poetica e compositiva: la Pala, commissionata da Tuzio Costanzo, uomo d’armi, per la cappella di famiglia, in occasione della morte del figlio Matteo, raffigurato in bassorilievo sulla lapide tombale, ora posta ai piedi dell’altare.

Nel dipinto, una delle poche opere certe del pittore, databile tra il 1503 e il 1504 (permangono ipotesi di datazione intorno all’anno 1500), raffigura, sullo sfondo di un paesaggio, la Madonna in trono con il Bambino, e, in primo piano, san Francesco e, a sinistra, san Nicasio (in passato identificato in san Giorgio o in san Liberale, patrono di Castelfranco e Treviso), per il fatto che impugna l’insegna dei cavalieri di Malta, detti anche Gerosolomitani o Giovanniti. San Nicasio era appartenuto a questo ordine cavalleresco e dopo la morte per martirio nel 1187, fu venerato, spesso insieme a san Francesco, soprattutto a Messina, città di origine di Tuzio, anch’egli cavaliere giovannita, come altri membri della sua famiglia.

L’opera – una tavola lignea formata da assi di pioppo accostate – subì numerosi e talora maldestri restauri fin dal secolo XVII, ai quali si aggiunsero gli effetti di eventi traumatici, tra cui il clamoroso furto del 10 dicembre 1972. Nel 2002-2003, è stata finalmente sottoposta ad un complesso ed accurato intervento di restauro in occasione della mostra di VeneziaGiorgione. Le maraviglie dell’arte“, tenutasi alle Gallerie dell’Accademia dall’1 novembre 2003 al 22 febbraio 2004.

 

Nella tavola di Castelfranco, Giorgione introduce elementi fortemente innovatori nella pittura veneta rinascimentale. Se in famosi dipinti, come La Tempesta, La vecchia, I tre filosofi e lo stesso Fregio di casa Marta-Pellizzari, l’allegorismo si spinge sino ai limiti dell’ermetismo più imprescrutabile, nello splendore cromatico della Pala, Giorgione si fa altissimo interprete della pittura tonale veneziana del secondo Quattrocento, che affida la costruzione dell’immagine ad una tecnica sapiente fatta di velature sovrapposte di strati colorati, cioè quella “pittura senza disegno” di cui parlava Giorgio Vasari nelle sue Vite, edite nel 1550, ove il chiaroscuro morbido ed avvolgente annulla i passaggi bruschi tra luce ed ombra.
L’autentica novità della Pala consiste nell’avere scardinato l’impianto tradizionale delle pale immediatamente precedenti (Piero della Francesca, Ercole de’ Roberti, Antonello da Messina) o coeve (Giovanni Bellini e Lorenzo Lotto), abolendo ogni riferimento a un interno aulico o ecclesiastico ed erigendo, entro un’architettura pittorica a verticalitàpiramidale“, un trono altissimo, quasi innaturale, immerso nella luce effusa da un paesaggio, amplissimo e profondo, di campagne e colline.
Le due minuscole figure di armati e il villaggio turrito in rovina “parlano” di guerra, generatrice di dolore e di morte. Un respiro atmosferico, pervaso da un assoluto silenzio, impregna l’intera figurazione ed inonda la penombra della cappella. Una cortina di rosso velluto identifica i due “registri” della composizione: il mondo delle azioni umane, nel quale ‘vivono’ la Madonna e il Bambino, e lo spazio sacro ai piedi del trono, ove, in una dimensione intima e meditativa, i due santi, evocativi dell’ardimento (Nicasio) e della pietà (Francesco), rivolgono il loro sguardo assorto allo spettatore e al devoto.

Recenti studi sulla Pala hanno proposto nuove e convincenti letture interpretative, fondate, tra l’altro, sull’analisi dell’originario assetto interno della cappella Costanzo nella chiesa ‘vecchia’ (ristrutturata nel 1467), demolita per far posto al Duomo di F.M. Preti (iniziato nel 1724). Infatti, l’attuale cappella (inaugurata nel settembre 1935) propone una configurazione del rapporto tra Pala e lapide tombale radicalmente diversa da quella documentata all’inizio del sec. XVI. Un secondo e determinante filtro di lettura è suggerito dall’identificazione del ‘cubo’ sottostante il trono in un ‘sarcofago’ di porfido. La cappella, costruita dopo il 1467, pervenne alla famiglia Costanzo probabilmente quando Tuzio, il committente della Pala, si trasferì a Castelfranco (circa 1475), dove aveva acquistato l’omonima casa (ora Menegotto) in vicolo del Paradiso. Tuzio Costanzo, figlio di Muzio (vicerè di Cipro), era nato a Messsina. Si era poi trasferito a Cipro, al servizio della regina Caterina Cornaro (sposa del re cipriota Giacomo II di Lusignano, costretta nel 1489 al ‘dorato esilio’ di Asolo) e, successivamente, celeberrimo condottiero al servizio della Repubblica Veneta.

Nella ‘vecchia’ cappella, la tomba di Matteo Costanzo, figlio di Tuzio, era scavata in un muro laterale e chiusa dalla lastra oggi deposta ai piedi dell’altare. Matteo era morto di febbri a Ravenna, all’età di 23 anni, tra la primavera del 1503 e l’estate del 1504, nel corso di una campagna bellica condotta dalla Serenissima. Il bassorilievo mostra l’immagine di un giovane guerriero, in armatura completa, con la spada al fianco e un copricapo sui capelli fluenti. Ai lati della testa: lo stemma dei Costanzo (lo stesso dipinto sul ‘sarcofago’ alla base del trono), ‘parlante’ (costa/Costanzo) nelle sei costole umane, sovrastate da un leone rampante, e lo stemma dei Verni, la famiglia nobile originaria di Maiorca cui apparteneva Isabella, sposa di Tuzio. L’iscrizione posta alla base della lapide celebra la bellezza e il valore di Matteo Costanzo e sigla una data, agosto 1504, riferibile all’allestimento della cappella. Sul muro opposto, si trovava il sepolcro di Tuzio, che aveva cosi disposto nel suo testamento del 1510. Volta e pareti erano affrescate, forse dallo stesso Giorgione, con Il Redentore in atto di benedire, quattro Evangelisti in altrettanti tondi ed arabeschi decorativi.

Dunque, né la Madonna e il Bambino, né i due santi rivolgevano lo sguardo verso la lapide tombale di Matteo, come oggi sembra apparire, perché immurata a parete. Dunque, come s’è visto poc’anzi, san Nicasio e san Francesco guardano al devoto che si accostava ai piedi dell’altare. Quanto alla Madonna e soprattutto al Bambino (indagini radiografiche ne hanno documentato la modificazione degli occhi, rivolti verso lo spettatore in un primo tempo, e nella versione finale, verso il basso), i loro sguardi tristi ed accorati sono rivolti in direzione del ‘sarcofago’ di porfido, sepolcro simbolico dei Costanzo, legato visivamente e idealmente, mediante lo stemma dipinto in prospetto, ai sepolcri sui muri laterali. In tal modo gli sguardi della Madonna e del Bambino raccordano i due ‘registri’ della Pala, altrimenti assoggettati ad un ‘irrimediabile’ cesura. Proprio dalla necessità di inserire il ‘sarcofago’ (oggetto di un intenso lavorìo e di ‘pentimenti’ del pittore) deriva la verticalità ‘piramidale’ della Pala. La scelta del porfido si caricava di una connotazione simbolica marcatamente funeraria e, di più, di un’esplicita ‘regalità’, essendo tale materiale utilizzato quasi esclusivamente nei sepolcri di imperatori romani, papi medievali e sovrani normanni e svevi nella Sicilia di Tuzio, con ciò alludendo all’alta dignità e alla nobiltà della famiglia Costanzo e al tito di vicerè di Cipro del padre del committente.

Oggi, la sobria cappella della Pala è meta di visitatori provenienti da tutto il mondo e, malgrado il riassetto operato nel 1935, il capolavoro di Giorgione cattura lo spettatore in un forte coinvolgimento emotivo, suscitato dalla serenità del paesaggio, dal commosso silenzio dei personaggi e dalla muta compostezza dell’effigie marmorea del giovane Matteo Costanzo.

Informazioni e orari di visita

Ultimo aggiornamento: 20/09/2024, ore 07:52

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